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Ucraina: basterà una guerra per unire l’Europa?

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Ucraina: basterà una guerra per unire l’Europa?

La “Bussola strategica” aspira a una strategia militare comune ma il suo successo dipenderà anche da quanto gli Stati accetteranno di condividere la politica estera

L’invasione dell’Ucraina accelera il processo di costruzione dell’Unione Europea della difesa. Il 21 marzo il Consiglio Ue ha adottato la Bussola strategica per la sicurezza e la difesa, poi approvata dal Consiglio Europeo il 25 marzo. Con la guerra in Ucraina i Paesi baltici e dell’Est avevano proposto di rinviare l’adozione del documento, in elaborazione da due anni, in attesa degli sviluppi della crisi. In un momento così delicato era però fondamentale dare un segnale di unità ed adottare il documento in tempi brevi. La bussola strategica si basa su quattro pilastri: azione (ad esempio la creazione di un’unità di intervento rapido da 5mila uomini entro il 2025 per la gestione delle crisi esterne, partendo dai Battle Group mai utilizzati), sicurezza, partner e investimenti. Su quest’ultimo tema, l’invasione russa ha portato i Paesi membri a innalzare al 2% del PIL la spesa per la Difesa, come la Nato chiedeva da tempo. Rispetto all’Alleanza atlantica, la Bussola prevede anche la complementarietà, cioè la possibilità per l’Europa di agire da sola in aree che non interessano la Nato.

Il sostegno all’Ucraina

La novità più importante che la guerra si è portata dietro è il sostegno all’Ucraina per quanto riguarda gli armamenti militari da parte dell’Ue. Il 22 maggio il Consiglio europeo ha adottato due misure di assistenza a titolo dello strumento europeo per la pace (European Peace Facility) che consentiranno all’UE di sostenere ulteriormente le capacità e la resilienza delle forze armate ucraine, al fine di difendere l’integrità territoriale e la sovranità del Paese, nonché di proteggere la popolazione civile dall’aggressione militare russa in corso.

Dopo aver adottato tre rate del sostegno, per un totale di 1,5 miliardi di euro quest’anno, una quarta rata aggiungerà 500 milioni di euro alle risorse già mobilitate nell’ambito dell’EPF per l’Ucraina, che sono destinate al rimborso di una parte delle forniture militari già inviate dagli Stati membri.

“La storia di domani – ha detto l’Alto rappresentante per la politica estera Ue, Josep Borrell – si sta scrivendo oggi, sui campi di battaglia dell’Ucraina”. L’UE quindi “ha stanziato un totale di 2 miliardi a sostegno della fornitura di attrezzature militari” alle forze armate ucraine. “Questo sostegno è solo una parte degli sforzi europei volti ad aiutare l’Ucraina a difendersi. L’abbiamo fatto dall’inizio della guerra e continueremo fino alla fine”.

La difesa comune nelle parole di Ursula von der Leyen

Oltre alla bussola strategica, altri due documenti mostrano le intenzioni dell’Ue in materia di difesa. Nel Discorso sullo stato dell’Unione del settembre 2021, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen si era già espressa in favore di una difesa europea autonoma, obiettivo da raggiungere non solo perché “le crisi esterne” dei Paesi confinanti possono ripercuotersi all’interno dell’Unione, ma anche perché si deve imparare a fare fronte a minacce in continua evoluzione. Intelligence condivisa, interoperabilità in piattaforme comuni e cyberdifesa sono diventate, dunque, le linee guida di un percorso che è stato meglio esplicitato nelle conclusioni del Consiglio europeo di marzo e in quelle del successivo Consiglio straordinario, del maggio 2022. Il documento dà indicazioni anche sugli aspetti economici: non soltanto negli appalti, ma anche nell’ipotesi di valutazione di un “meccanismo per l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto” sulle spese militari.

L’antefatto

Sono decenni che l’Europa parla di difesa comune. Il primo tentativo di un progetto di collaborazione militare naufraga il 30 agosto 1954 per il voto contrario del Parlamento francese al Trattato CED, la Communauté européenne de défense, che era stato firmato dai 6 Paesi fondatori.

Messo in stand by per sessant’anni, il piano per un esercito comune ricomincia a muoversi solo con la Brexit. Prima, quando nell’Ue si parlava di difesa, a fare la voce grossa erano Francia e Regno Unito. E non solo perché hanno il diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu ma anche perché sono potenze nucleari che dedicano una parte consistente del proprio budget alle spese militari, ma in un’ottica gelosamente nazionale.

Ora che la Gran Bretagna ha divorziato dall’Europa, i 27 sembrano aver ripreso in mano il percorso. Non solo. Con il ritorno della guerra nel vecchio continente, i leader europei hanno spinto sull’acceleratore e al vertice straordinario di maggio hanno concordato di portare avanti un progetto comune di investimenti su sicurezza e difesa che porterebbero all’eliminazione dei doppioni – nell’Ue oggi abbiamo 27 eserciti, 23 forze aeree e 21 navali – e a un risparmio di risorse. Una svolta epocale che ha rotto i tabù dell’Unione con l’invio di armi letali a un esercito in guerra, quello di Zelensky che si difende dall’invasione russa.

 

S.E.S.E. (Elena Nieddu, Elena Romanato, Susanna Sforza, Simona Tarzia)

(Fonte immagini e testi: Uffici stampa UE)

Il presente articolo è stato scritto durante un laboratorio con Lorenzo Consoli, decano dei corrispondenti italiani a Bruxelles, presso il Club de la Presse, nell’ambito di un progetto di formazione professionale internazionale giornalisti liguri ERASMUS+. Per tale motivo, non corrisponde appieno ai criteri di leggibilità e SEO che caratterizzano gli articoli online (Susanna Sforza)

 

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