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A Brescia in mostra “Il cibo nell’arte” – ultimi giorni
Il cibo nell’arte. Non soltanto un percorso gastronomico
Sono gli ultimi giorni per visitare la mostra “Il cibo nell’arte. Capolavori dei grandi maestri dal Seicento a Warhol”, fino al 14 giugno a Palazzo Martinengo di Brescia, patrocinata da Expo, in cui il cibo viene rappresentato in quattro secoli d’arte. Dal ‘500 ai giorni nostri la dislocazione cronologica della rassegna sottolinea i diversi soggetti gastronomici e con l’audio-guida integra storicamente gli alimenti raffigurati. In gran parte della rassegna, protagonista insieme al cibo è l’ambiente atto alla sua preparazione; quindi cucine, suppellettili e personaggi che adempiono il compito. Un nutrito campionario di utensili, piatti di ceramica finemente decorati, posate, alzatine, bicchieri, bottiglie concorrono alla buona riuscita della messa in scena ma, nel caso di Massaia con rami di Baschenis, il soggetto, in bella mostra sul tavolo, è proprio la batteria di pentole. Il rame di cui sono fatte le rende brillanti, irradianti tanta luce da mettere in ombra la massaia! Nel caso di Allegoria dei cinque sensi del Todeschini, invece, è descritto un ambiente conviviale simile a quello di Miseria e nobiltà. Nella commedia si mangiano spaghetti con le mani, un baccanale in cui la fame, come tutti i bisogni primari, ha urgenza di essere soddisfatta; nel quadro c’è la stessa euforia, simile l’atmosfera caotica che rende partecipe perfino il cane nella confusione generale. La tavola diventa in entrambi i casi luogo di aggregazione e motivo di abbandono quasi orgiastico, le due scene sono accomunate dalla mancanza di etichetta e buona creanza.
È evidente che il cibo, fino al ‘700, è raffigurato trionfante: nelle nature morte, dove sollecita sensazioni olfattive tramite formaggi stagionati, salumi, cacciagione, selvaggina, frattaglie, crostacei, pesci, e nei quadri di genere, dove è rappresentato insieme a popolani e addetti alla cucina; ma sia che divida lo spazio con coloro che hanno il compito di prepararlo e procacciarlo, sia che abbia la funzione di allegoria dell’abbondanza, il dipinto non sta a specificare chi beneficia questa opulenza.
Nell’’800 invece, quando si affronta la questione sociale, diventa strumento di denuncia e la sua associazione alle classi meno abbienti è data per descrivere situazioni di privazione. La mensa dei poveri di Angelo Morbelli ben rappresenta questa condizione attraverso una sospensione temporale: la mestizia dell’attesa è rimarcata dall’assenza di vettovaglie, come se gli astanti, mancando di cibo, mancassero di felicità.
Il percorso approda al ‘900 avanzato in cui è l’ideale a farsi protagonista, come nell’opera Acrome 1961-62. Rosette, caolino su tela di Piero Manzoni in cui il pane viene utilizzato direttamente sulla tela perché non ha bisogno della mediazione pittorica per assurgere a opera d’arte. Nel nuovo secolo, invece, le rappresentazioni diventano celebrazioni: fotografie mostrano il cibo come evento, elevandolo a un ruolo divistico e nella Piramide alimentare di Paola Nizzoli, che ne evidenzia le qualità salutistiche, è presentato come insegnamento propedeutico al miglioramento della salute.
Alla fine, si può affermare che la mostra esprime soprattutto il cambiamento nei secoli del nostro rapporto con il cibo. Passando dal mero mezzo di sostentamento alla pura decorazione, dal soggetto in posa al motivo di differenze sociali, dal simbolo del consumismo (con Warhol e Lichtenstein) all’agente necessario per il benessere, seguiamo un percorso di coscienza più che un percorso gastronomico. Per finire, mi viene da meditare sulla scarsa presenza di edonismo nelle opere esposte, quello che si coglie in Mangiatori di ricotta del Campi, per esempio. Forse per questo non c’è il minimo accenno al film che ha celebrato la rappresentazione del cibo nell’arte in maniera magistrale, mi riferisco a Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante del 1989 scritto e diretto da Peter Greenaway. Se consideriamo il cinema, la settimana arte avrebbe potuto/dovuto trovarvi posto, magari nella sala dove troneggia solitaria la scultura arcimboldesca Il custode dell’orto, poteva essere una piccola sezione per un’arte che ne cita un’altra : scultura che cita pittura e cinema che cita pittura.
di Rosalba Solimena
